C’è la Brexit e un piano segreto dietro Bologna capitale del meteo
In giugno il voto decisivo per trasferire nel capoluogo emiliano il data center del Centro Meteo Europeo. Un piccolo passo, che però potrebbe preludere all’arrivo sotto le Due Torri di tutta l’attività scientifica europea in materia di clima, previsioni metereologiche e inquinamento. Tutto dipende da come andrà il negoziato per l’uscita di Londra dalla Ue.
Si è fatto tanto can can sulla scelta di Bologna come sede del Centro europeo di meteorologia Ecmwf (Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine). In realtà il quartier generale e tutta la parte scientifica dell’Ecmwf resta a Reading, in Gran Bretagna, con la gran parte dei suoi 300 scienziati. A Bologna approderà solo il centro di calcolo, cioè il cervellone con un manipolo di informatici per farlo funzionare. Quindi da un lato la notizia si sgonfia. Dall’altro, però, ha una valenza ancor maggiore nel quadro delle grandi manovre collegate alla Brexit. Vediamo perché.
Il Centro europeo di Meteorologia dà lavoro a circa 300 scienziati e si occupa di elaborare previsioni a medio termine (10 giorni) per tutti i Paesi europei membri dell’Ue e per molti altri extra Ue come Turchia, Svizzera, Islanda, Norvegia e nazioni della ex -Jugoslavia. E’ una sorta di fornitore all’ingrosso di previsioni meteo (la parte più complessa e sofisticata), che poi ogni servizio nazionale utilizza per servire aeronautica, protezione civile, trasporti, agricoltura, navigazione e militare. Si tratta quindi di una istituzione intergovernativa che non c’entra nulla con l’Unione europea. Decide un Council in cui sono rappresentati tutti i Paesi membri con due esponenti. Ogni decisione viene presa solo all’unanimità. L’attuale sede a Reading è satura e non ampliabile, quindi non può ospitare il nuovo supercomputer con storage e trattamento dati, che viene sostituito e aggiornato ogni 4-5 anni ed è sempre fra i primi 30 più potenti al mondo. La Gran Bretagna ha presentato tre progetti per ricollocarlo, ma le valutazioni tecniche hanno optato per Bologna dove c’è lo spazio adatto al Tecnopolo dell’ex Manifattura Tabacchi e dove ci sono le competenze e le professionalità sui big data, soprattutto per via del Cineca e del centro di calcolo dell’ INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare). Al nuovo centro lavoreranno in tutto 25-30 informatici e nessun meteorologo. In parte saranno trasferimenti di personale da Reading. Ma chi rifiuterà il trasferimento sarà sostituito da nuovo personale reclutato a Bologna dove il materiale umano specializzato è ritenuto di ottimo livello. La decisione finale sarà presa solo in giugno dal Council. La Gran Bretagna ha già detto che darà voto favorevole solo a condizione che sia specificato che nessun altro settore del centro potrà più essere trasferito fuori dal Regno Unito. La clausola è inaccettabile. Ma serve a spiegare i retroscena e i retro pensieri, che si intrecciano con il negoziato per la Brexit. L’Unione europea, infatti, potrebbe mobilitare in un secondo tempo i suoi rappresentanti nel Council, che sono la maggioranza, per procedere al trasferimento in toto del centro all’interno dell’Ue appena Londra avrà divorziato da Bruxelles. Bologna a quel punto sarebbe la sede super favorita, avendo già il data center e vantando la maggior concentrazione di competenze meteorologiche in Italia (Arpa, Cnr e Centro per i cambiamenti climatici Cmcc, un’eccellenza internazionale negli studi modellistici sul clima futuro). L’Unione poi dispone di un’altra arma da utilizzare nel negoziato. L’Ecmwf, infatti, si è aggiudicato due bandi (Clima e Inquinamento) dei sei (anche Terra, Mare, Sicurezza militare e Protezione civile) del progetto scientifico europeo Copernico per l’osservazione del pianeta dallo spazio. E’ uno dei progetti scientifici più importanti al mondo e vale diversi miliardi di euro nei prossimi 5 anni. Quando la Gran Bretagna uscirà dall’Europa sarà difficile giustificare finanziamenti europei tanto generosi erogati a favore del mondo scientifico di un Paese extra Ue. Quindi al rinnovo dei bandi i casi sono due: o resteranno all’Ecmwf, ma solo se la sede sarà rimasta all’interno dell’area Ue quindi fuori dalla Gran Bretagna, oppure saranno riassegnati a una nuova istituzione scientifica europea, che potrebbe nascere ad hoc, proprio a Bologna. Anche perché proprio Bologna è sede del Cmcc, il cui fondatore, il climatologo Antonio Navarra dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, è anche rappresentante dell’Italia nel Council del Centro meteo europeo. Ovvio che nessuno svelerà mai i retroscena di una trattativa così riservata fino a quando non sarà formalizzata almeno la scelta di Bologna per il «cervellone» dell’Ecmwf. La questione è troppo delicata anche per i riflessi sulla politica interna britannica, dove le opposizione anti Brexit potrebbero trarre spunto dalla perdita del Centro meteo, oltre a quella, scontata, dell’Agenzia europea del farmaco, per lanciare un letale atto d’accusa al governo e a chi negozierà la Brexit.
Se lo scenario per Bologna sarà quello vincente si apriranno i rubinetti e scorreranno flussi importanti di denaro pubblico. Ma per la città, di riflesso anche la regione, si avrà pure una notevole ricaduta sul capitale sociale ed umano di un’industria che conta numeri significativi: in Emilia-Romagna si concentra il 70% della capacità di calcolo e di storage nazionale e queste terre ospitano 1.700 ricercatori impegnati sui Big data. Senza dimenticare la Rete Alta Tecnologia con 82 laboratori di ricerca e 14 centri per l’innovazione, la struttura coordinata da Aster. Oltre ai già citati Arpa, Cmcc, Cnr qui hanno casa Enea, Lepida, e infine l’ Istituto europeo di tecnologia-Climate Kic la più rilevante community europea per la ricerca e l’innovazione climatica che ha aperto da poco una sede a Bologna. Infine in città è attivo uno dei due corsi di laurea in meteorologia presenti in Italia. Un giacimento di conoscenze destinato a crescere esponenzialmente. La terra è fertile visto che a livello nazionale l’Emilia-Romagna è la seconda regione in termini di persone impiegate in attività di Ricerca&Sviluppo, oltre 52.000, ed è la prima per numero di persone impiegate in questo settore ogni 1000 abitanti. Delocalizzare a Bologna tutto il Centro europeo di meteorologia porterebbe buste paga e preziosi posti di lavoro. Sono innegabili poi i vantaggi competitivi per le imprese che potrebbero usufruire con più facilità delle conoscenze e del capitale cognitivo generato da una così alta concentrazione di cervelli. A iniziare da un settore primario come l’agricoltura che sempre più si avvale dei contributi meteo per la pianificazione dei suoi interventi nei campi. Parliamo di agricoltura di precisione che grazie ai dati meteo ottimizza le risorse, evita gli sprechi e aumenta la redditività delle imprese agricole. Le previsioni hanno un forte impatto sulla pianificazione agricola e l’incremento stimato delle produzioni dovuto ad una migliore conoscenza del fattore climatico è di circa il 5%. Più tutto l’indotto delle società di servizi che sviluppano applicazioni e software legate all’usabilità dei dati meteo per le imprese: dai programmi per calcolare il peso e il livello dei trattamenti per le piante alle mappe satellitari da montare sulle macchine agricole. Altri effetti positivi della presenza del Centro sono legati all’aumento dei flussi di turismo scientifico alimentati da visite di delegazioni straniere, corsi di aggiornamento e formazione per meteorologi, informatici, esperti ed operatori di Big data, infine congressi e convegni. Tutta una serie di attività che permettono di attirare flussi sia nazionali sia internazionali e qualificare il settore dell’ospitalità cittadina. Insomma, le opportunità per Bologna e l’Emilia-Romagna date dal Centro Meteo sarebbero enormi e, almeno su questo fronte, la Brexit potrebbe dare una mano.
Gian Basilio Nieddu