Multinazionali in salsa emiliana

Crescono gli investimenti dei grandi gruppi internazionali in Emilia Romagna. Non solo per gli 80 milioni di incentivi stanziati dalla Regione sull’attrattività territoriale, ma anche per i vantaggi  competitivi offerti da un ambiente industriale fertile e innovativo.

di Natascia Ronchetti

 

Quando la Regione Emilia Romagna ha messo sul tavolo 80 milioni di euro, frutto dell’accordo con il Mise e Invitalia, di certo ha fatto la differenza. Ma non è stato solo il contributo con il quale la  legge regionale sull’ attrattività ha fatto il proprio debutto a battezzare Sant’Agata Bolognese come unico luogo dove Lamborghini produrrà il suo nuovo Suv Urus, dopo aver ottenuto il via libera della casa madre Audi-Volskwagen per un investimento da capogiro: 800 milioni di euro. E’ stata la filiera dell’automotive e della meccanica, quel grande distretto che comprende Bologna, Modena, Reggio Emilia e che si allunga fino al Piacentino, a far pendere decisamente l’ago della bilancia verso l’hinterland del capoluogo emiliano.

Bratislava, in Slovacchia, la concorrente di Sant’Agata per la produzione del nuovo Suv, aveva già perso anche l’allure del basso costo del lavoro di fronte alla necessità di garantire l’italianità di un marchio storico della motor valley emiliana, al pari di Ferrari, Maserati, Ducati, Dallara e Pagani, e al contempo di insediare la nuova produzione in un cluster della meccanica che per storia, dimensioni e indotto è tra i più importanti in Europa. Oggi Lamborghini con il raddoppio della superficie produttiva, un nuovo centro logistico e di ricerca e sviluppo si prepara a sfornare il Suv nei primi mesi del 2018 dopo aver assunto già i due terzi della nuova manodopera prevista, circa 500 addetti in più.

Il caso Lamborghini è uno dei tanti esempi della capacità dell’Emilia Romagna di ritagliarsi un ruolo da protagonista della crescita europea per la capacità di attirare gli investimenti delle grandi  multinazionali. La sua forza di locomotiva della ripresa del Paese sta in un sistema produttivo che è stato scalfito e drenato dalla lunga recessione ma nemmeno nelle fasi più difficili ha perso la bussola dell’innovazione, dell’investimento sul capitale umano e sull’efficienza delle sue filiere. Cosa che le ha permesso di vincere grandi partite internazionali neutralizzando il richiamo del  basso costo della manodopera proveniente da molti Paesi dell’Est Europa. Non è un caso se il colosso americano Philip Morris ha scelto a sua volta il Bolognese, tra Zola Predosa e Crespellano, per il nuovo stabilimento che con il motore della controllata Intertaba ha  cominciato a produrre lo stick di tabacco a potenziale rischio ridotto (è basato sul riscaldamento e non sulla combustione) che rivoluziona il mondo della sigaretta. Un investimento da 500 milioni che è già quasi a pieno regime, con il completamento del nuovo blocco amministrativo e produttivo, oltre 500 nuovi posti di lavoro sui 600 previsti, la commercializzazione in una ventina di mercati, tra i quali, oltre all’Italia, il Giappone, la Romania, la Germania, la Svizzera, la Russia e l’Ucraina.

Parlare di grandi gruppi in Emilia Romagna sempre di più significa parlare di veri e propri giganti. Come Medtronic, il big statunitense del biomedicale – dal Minnesota ha spostato la sede a Dublino – che per la propria espansione europea ha scelto il distretto di Mirandola con l’acquisizione di Bellco, ceduta dal fondo Charme II della famiglia Montezemolo. Oppure il colosso statunitense dell’edilizia Mohawk che ha rilevato il gruppo Marazzi e attraverso questo ha poi  investito 100 milioni in nuovi stabilimento e, di recente, ha comprato anche Emilceramica. Oppure Dana che ha appena rilevato i riduttori Brevini con un investimento di qualche centinaia di milioni.

A guidare gli investimenti, a colpi di acquisizioni e di nuovi stabilimenti, in Emilia Romagna sono gli Usa, la Cina, il Nord Europa. La Francia a sua volta pochi anni fa aveva già calato l’asso della holding del lusso Louis Vuitton alle porte di Ferrara, a Gaibanella, per lo sviluppo produttivo della controllata Manifattura Berluti e un investimento sulle calzature da uomo di altissima gamma che ha portato a quasi 200 i dipendenti  e contemporaneamente ha consentito l’apertura di una accademia di formazione che oggi fa della città estense un polo d’eccellenza.

Tra grandi nomi e altri meno noti ma non meno importanti, spicca quello di International Paper, carta e imballaggi, 70mila dipendenti nel mondo e quartiere generale nel Tennessee, che nonostante il terremoto che ha colpito l’Emilia nel 2012 ha investito 20 milioni di euro a San Felice  sul Panaro, nel Modenese, per un nuovo impianto. Arrivano dalla Cina invece gli investitori che hanno rilevato un marchio storico della meccanica agricola emiliana, Goldoni SpA di Carpi, sempre nel Modenese. Sono i vertici di Foton Lovol Ltd, il più grosso costruttore di macchine agricole del gigante asiatico, un altro big da oltre 3 miliardi di euro di fatturato che ha puntato anche su un  secondo storico brand emiliano del settore, il piacentino Arbos.

Poi ci sono le multinazionali che dopo aver abbandonato l’Emilia, inseguendo il risparmio sul costo del lavoro, tornano sui propri passi per recuperare la competitività data dalle competenze altamente qualificate di una regione a forte densità industriale e con una radicata tradizione manifatturiera. E’ il caso della maxi holding danese Danfoss, 4,6 miliardi di ricavi, che ha portato a Castel San Pietro la produzione di Turolla, pompe oleodinamiche ad ingranaggi, abbandonando la Slovacchia dove aveva precedentemente delocalizzato. Un ritorno alle origini – il modello emiliano – per servire dal Bolognese tutta l’Europa.