Un club di 20 “acquisitori seriali”. E altri 200 potrebbero imitarli

Le imprese emiliano romagnole iperattive nel M&A  rappresentano il 16% del totale nazionale. Ma le possibili  “cacciatrici” sono dieci volte tanto. Uno studio Kpmg-Bocconi ne analizza potenzialità, motivazioni e timori 

di Angelo Ciancarella

 

L’Italia perde pezzi, gli stranieri comprano il meglio, Vivendi spera di apparecchiare anche il palinsesto televisivo degli italiani, Luxottica fa eccezione, ma chissà cosa succederà al momento, prima o poi inevitabile, della successione a Leonardo Del Vecchio, il fondatore; perfino Generali deve guardarsi le spalle, e forse avrà solo l’alternativa tra l’essere preda di italiani o francesi. Questa immagine, non priva di parti di verità, è la realtà percepita. Ma se si scava un po’ di più, lasciando perdere quel che resta dei grandi gruppi, la realtà è molto diversa e molto più dinamica; è come osservare da un microscopio la superficie brulicante di vita di un materiale fino a un attimo prima apparentemente inerte. Nell’economia senza confini ci sono molti modi per affacciarsi altrove (e non essere fagocitati o perire di stenti fra le quattro mura del proprio paese e della propria regione). Si esporta, si produce e distribuisce sul posto, si acquistano imprese già concorrenti o complementari, sia in Italia che all’estero. Lo si fa acquistando direttamente il pacchetto di controllo, talvolta piccolo ma strategico, o acquisendo quote significative di gruppi quotati, per poi entrare nel Cda e creare sinergie. Se per vedere da vicino questa operosità il microscopio si concentra sull’Emilia-Romagna, la biodiversità è davvero grande. Ci sono quelli che acquistano di tanto in tanto, e quelli che si guardano continuamente intorno, sembrano bulimici ma in genere sanno bene cosa fanno, soprattutto in settori che cambiano pelle continuamente (quasi tutti, ormai) e in cui il mercato di riferimento è uno solo _ il mondo _, ma va servito punto vendita per punto vendita, cioè paese per paese. Per i più capaci e attivi tra questi è stata coniata la definizione di “acquisitori seriali”, riservata ai gruppi che nell’ultimo decennio sono cresciuti attraverso fusioni e acquisizioni. In Italia ce ne sono appena un centinaio (e anche gli acquisitori occasionali non sono un numero sterminato: diciamo il doppio). Ben venti “seriali” sono emiliano-romagnoli, oltre il 16% del totale Italia di 127. Altri 46 hanno effettuato operazioni episodiche. Alcuni hanno operato soprattutto in Italia, altri all’estero in relazione ai diversi business e fino a divenirne leader mondiali. I loro nomi sono noti anche al grande pubblico: Hera, Coesia (11 operazioni solo negli ultimi 5 anni), Ima, Crif, Chiesi, Cremonini, Interpump (8 acquisizioni recenti, tre all’estero). Finora le imprese italiane sono state soprattutto prede, sia pure trattate con il riguardo che meritano professionalità e know how irripetibili, e perciò con nuovi investimenti produttivi e management spesso rimasto italiano: Ducati, Lamborghini, Ceramiche Marazzi, che ora ha portato anche la neo acquisita Emilceramica nella capogruppo americana Mohawk, leader mondiale. La consulenza che guarda lontano si è chiesta quanto sia il potenziale inespresso di crescita attraverso fusioni e acquisizioni, M&A indispensabili nel mercato globale incompatibile con i piccoli passi. Nel mondo il mercato delle M&A vale oltre il 4% del Pil, in Italia poco più del 3%. Kpmg e Sda Bocconi, in collaborazione con Borsa italiana e Corriere Economia, hanno svolto una ricerca e individuato 1.368 imprese italiane, 219 delle quali in Emilia-Romagna (il 16%) con un fatturato 2013 di almeno 50 milioni di euro, che ben potrebbero fare (o l’hanno già fatto) M&A. In media il fatturato del campione considerato è di 637 milioni in Italia, quasi dimezzato in Emilia-Romagna, terra di piccole e medie imprese: 324 milioni di euro. Oltre il 40% (quasi la metà in regione) non sono in realtà abbastanza profittevoli per effettuare operazioni del genere. A conti fatti, in regione restano 115 imprese (770 in Italia) con i numeri giusti: 67 conoscono già l’adrenalina della crescita per salti. Il restante 40% non ha avuto questa esperienza: 48 imprese, un plotone con tutti i numeri per affacciarsi sul mercato. Maximilian Fiani ha curato lo studio di Kpmg, che ha anche intervistato il campione delle imprese candidate. Hanno risposto in 200, il 15% delle quali è in Emilia. L’80% di loro considera le M&A essenziali (22%) o importanti ma non indispensabili (58%) per la crescita. Un terzo ha già in corso piani di acquisizione entro i prossimi 12 mesi; altrettante pensano di farlo nei prossimi tre anni. Quasi la metà ha già individuato l’obiettivo e non poche pensano a possibili dismissioni, per avere più forza nelle operazioni programmate. Trapelano non pochi timori, legati soprattutto alle disponibilità finanziarie (43%). Esperti e imprenditori che qualche mese fa hanno partecipato alla presentazione in Bocconi dello studio – tra i quali Papadimitriou di Coesia e Venier di Hera – hanno rassicurato sul vincolo finanziario, superabile in molti modi se l’operazione non è avventata. La ricerca, per ragioni comprensibili legate all’indispensabile riserbo sui piani industriali (in mancanza del quale le risposte non sarebbero state sincere) non indica i nomi delle imprese pronte a scendere in campo. Ma abbiamo compiuto una elaborazione sul database Aida Bureau van Dijk, attraverso il quale anche la ricerca Kpmg (incrociando ulteriori fonti) ha individuato le 1.368 imprese italiane. Criteri abbastanza severi: più di 50 milioni di euro di fatturato 2014, tasso di crescita ebitda di almeno il 10%, indice di liquidità non inferiore a 0,9. Il database ha restituito ben 148 imprese emiliano-romagnole. Dalle 148 sono state estratte le dieci più performanti, con ebitda fra 2 e 73 milioni di euro, e le dieci più liquide (con indice compreso fra 2,7 e 4,3). Alcune sono presenti in entrambe le liste. Ci sono vecchie conoscenze e alcune sorprese – come la Cisa e anche Lamborghini e Maserati – eccentriche rispetto all’obiettivo considerato. Tra queste Cineca: ma chi ha detto che un consorzio di calcolo interuniversitario e di alto livello non possa crescere per linee esterne e anche all’estero? Nella prima lista si trovano anche industrie ceramiche (Atlas Concorde e Florim), l’alimentare con Inalca, Parmalat e la distribuzione con Marr; Hera Comm e Ireti, società commerciali delle due multiutility. Tra le imprese più liquide, il legno di Alpi, ancora la ceramica (Refin), la moda e abbigliamento di Imperial e Marella; le perforazioni di Pergemine e il movimento terra di Caterpillar Mec-Track. La caccia è aperta, e anche i consulenti possono drizzare le antenne. Kpmg, forse non volendo, ha reso un servizio ai concorrenti e ai colleghi più piccoli.

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