Banche: Bper, Unipol, Carige. Quell’ultima mano di un lungo poker

Risolte le crisi di Carife, Carim, Cassa Cesena il risiko bancario emiliano-romagnolo si focalizza sul futuro della ex popolare modenese. Si allontana l’alleanza con le valtellinesi dopo la mossa di Sondrio che ha comprato CariCento e le difficoltà di Creval. Resta sullo sfondo il nodo Unipol Banca e tornano le speculazioni sul fronte Carige.

 Bologna, 30 novembre 2017 

 

Il 18 dicembre l’assemblea del Monte de’ Paschi aumenterà a 15 le seggiole del cda per far posto ai rappresentanti di Generali, ora detentore del 4,3%. L’ennesimo epilogo della telenovela senese vede tuttavia il Ministero del Tesoro sempre più al comando grazie a una quota del 68%, con l’ultimo 16% conquistato a inizio novembre per 1,53 miliardi di euro, saldo e stralcio a favore di coloro che erano divenuti azionisti convertendo le obbligazioni. Lontana anni luce appare l’epoca della difesa a oltranza della toscanità, degenerazione somma di quel “feudalesimo finanziario” che per altro verso ha ormai fatto il proprio tempo persino in Unicredit, dove il nocciolino delle Fondazioni si è ridotto a un 6% complessivo e dovrà lottare per conservare alla meglio una vicepresidenza. Almeno temporaneo campione della toscanità, con 52 filiali e 3,7 miliardi di attivo, è allora Chianti Banca. La quale nondimeno, dopo che BankItalia ha acceso un faro sui dati contabili, deve inevitabilmente decidere una volta per tutte quale casella riempire nel risiko nazionale del credito: se a ottobre il board ha deciso di sottoscrivere l’aumento di capitale di Iccrea, primo superpolo nazionale delle Bcc, un battagliero gruppo di soci vorrebbe riprendere la strada verso la trentina Cassa Centrale, strada già abbracciata nell’assemblea di dicembre 2016.

La possibile ultima mano del risiko si svolge però, anche o soprattutto, su quello strano asse che unisce la Valtellina al cuore dell’Emilia. In ottobre, è stata la prima a invadere la seconda, quando la Popolare di Sondrio ha svelato una lettera di intenti, per ora non vincolante, che le consentirà di rilevare il 51% della Cassa di Risparmio di Cento dalla Fondazione omonima; questo nell’ottica, comunque, di salire successivamente al 67% e infine al controllo totale, e sempre con un corrispettivo misto (di ammontare non rivelato) in contanti e azioni. Una simile mossa ha reso davvero improbabile il matrimonio con Bper, che lo scorso 20 novembre ha completato la spartizione del sistema bancario estense, con la formale entrata in vigore dell’incorporazione di Nuova CariFerrara. Altrettanto difficile, poi, che la sposa dei modenesi divenga il Credito Valtellinese, come pure si è a lungo ipotizzato a Piazza Affari.

Nella prima metà di novembre, l’istituto guidato da Mauro Selvetti ha avuto un tracollo in Borsa legato a quei 4 miliardi di sofferenze che lo lasciano in un limbo, alle prese con un aumento di capitale da 700 milioni di euro: i libri non si apriranno prima di febbraio, dato che l’assemblea per il via libera è fissata per il 19 dicembre. Nel frattempo, però, l’ingresso con il 6,5% dell’imprenditore Denis Dumont ha sospinto le voci di una nuova calata dei francesi in Italia, giusto a poche settimane dalla conclusione della trionfale campagna del Crédit Agricole. Dopo aver acquistato da Unicredit, tramite Amundi, il colosso del risparmio gestito Pioneer, la Banque verte ha incamerato CariCesena,  CariRimini e Cassa di San Miniato arrivando alla soglia dei 5 milioni di clienti in terra tricolore. La ciliegina sulla torta è stata l’assegno da 200 milioni con cui, a inizio novembre, il colosso transalpino ha rilevato, questa volta attraverso Indosuez, il 67,67% di Banca Leonardo, meravigliosa creatura di Gerardo Braggiotti nel comparto del wealth management.

A questo punto, insomma, quali opzioni rimangono sul tavolo di Bper? Con la Sondrio dovrebbe esserci, al massimo, l’intesa per un’operazione di scopo, l’acquisto del 39,8% di Arca Fondi SGR: l’asset, che nemmeno due anni or sono valeva sui 7-800 milioni, si è certo svalutato dentro le procedure di liquidazione coatta amministrativa delle ex popolari venete. Entrambi gli istituti, poi, hanno una joint venture nei prodotti assicurativi con Unipol, che è probabilmente a oggi il tassello più importante di tutto il risiko; risiko del bancassurance, dunque, e non bancario in senso stretto. In estate, il colosso guidato da Carlo Cimbri ha incassato un gruzzoletto di 535 milioni vendendo la propria quota in Popolare Vita a Banco Bpm, che, sciolto un accordo parallelo con l’inglese Aviva, si è poi riaccasato con la Cattolica. E, la sensazione è comune, l’ultima tranche di questa partita a poker pare solamente iniziata.

Di Bper medesima, la compagnia assicurativa controllata dalle cooperative delle Lega (Alleanza 3.0 in primis) detiene oltre il 9%. A ciò, vanno aggiunti i piccoli ma affatto inutili pacchetti che singole cooperative rientranti nella galassia Lega possiedono in proprio nell’istituto modenese. L’eccezione, in Emilia-Romagna, era rappresentata dalla vecchia Coop NordEst: oggi parte di Alleanze 3.0, prima della fusione aveva privilegiato il rapporto azionario, a dir poco non felicissimo, con la Popolare di Vicenza. Lo schema, anzi, doveva probabilmente essere replicato in altre banche, vedi Mps, dove Unicoop Firenze si scottò le dita già in tempi lontani; e vedi Carige, dove Coop Liguria è tuttora assestata all’1,4%, quarto inquilino dopo Malacalza, Volpi e Spinelli.

Con quale spirito si muoverà Cimbri, all’ombra di quella Lanterna con cui nel 2013, ancora sotto la presidenza del poi destituito Giovanni Berneschi, valutò seriamente un’alleanza tramite conversione di bond? Unipol la conversione obbligazionaria l’ha parzialmente realizzata ora, sottoscrivendo assieme a Intesa San Paolo e a Generali il pacchetto da 60 milioni che fa da terza gamba alla ripatrimonializzazione-lampo da 1 miliardo varata da Carige: la polpa, ossia i 500 milioni cash, verrà dagli attuali azionisti, che hanno tempo fino al 6 dicembre per mettere mano al portafoglio, o alternativamente dal consorzio di garanzia faticosamente costituito da Crédit Suisse, Deutsche Bank e Barclays; un’ultima fetta, infine, verrà dalla cessione di asset e di npl. Circa due anni or sono, i liguri misero apparentemente sul mercato la controllata Cesare Ponti, boutique del private banking con 2.500 clienti e 2 miliardi di masse gestite per la quale si fece inutilmente avanti (toh!) Bper. Quest’anno, al contrario, l’asta sui gioielli di famiglia riguarda essenzialmente gli immobili, e in parte si è già concretizzata con la cessione a Enpam per 107,5 milioni di un palazzo situato in Corso Vittorio Emanuele, nel cuore di Milano. Tra le tante ipotesi fanta-bancarie, quindi, non si esclude nemmeno una possibile triangolazione Bper-Unipol-Carige. L’istituto modenese è uscito brillantemente dal processo annuale di revisione e valutazione prudenziale della Bce, e il 29 novembre scorso ha potuto comunicare di avere «un coefficiente patrimoniale, Cet1, ampiamente superiore al livello minimo richiesto in sede di Srep 2018, fissato all’8,125%». A fine settembre, dopo l’acquisizione di Carife, la banca aveva un Cet1 phased-in del 14,03%, quindi con un “buffer” di circa 2 miliardi di euro rispetto al requisito minimo richiesto. Il che amplia le possibilità di manovra della banca diretta di Alessandro Vandelli. Per la sempre invocata e mai realizzata grande alleanza, o per l’operazione che più starebbe a cuore al socio forte Unipol: la cessione ai modenesi di Unipol Banca, ora ripulita di tutti i crediti deteriorati confluiti in una bad bank rimasta sulle spalle della capogruppo Ugf.

 

Nicola Tedeschini