Nasce Confindustria Emilia, seconda locomotiva d’Italia

Con l’aggregazione delle territoriali di Bologna, Modena e Ferrara 3.200 imprese avranno una sola rappresentanza. Solo Assolombarda pesa di più in Confindustria. Rammarico per la retromarcia di Reggio Emilia. Vacchi, presidente nella fase transitoria che si concluderà nel 2018, assicura: nessun taglio e servizi migliori alle aziende

 

 

Prima la lettera d’intenti, poi il protocollo d’intesa e infine la firma davanti al notaio con la quale i presidenti delle tre associazioni degli industriali di Bologna, Modena e Ferrara hanno dato il via libera ufficiale alla fusione delle tre territoriali per dare vita a Confindustria Emilia – area Centro. Ci sono voluti quasi tre anni di gestazione per far nascere il colosso emiliano della rappresentanza industriale, sulla scia di una svolta che, come sta avvenendo in tutto il Paese, non è né indolore né automatica. Reggio Emilia ha infatti detto no all’aggregazione con Bologna, Ferrara e Modena. Vecchie ruggini, polemiche e tensioni sembrano però archiviate. “La nostra porta resta aperta”, continua a dire il presidente degli industriali modenesi Walter Caiumi, convinto che la distanza con i colleghi reggiani sulla struttura e l’organizzazione da dare alla nuova associazione non sia incolmabile. Ora toccherà al presidente di Unindustria Bologna Alberto Vacchi guidare la nuova Confindustria Emilia durante la fase transitoria prevista fino alle elezioni del numero uno, che si terranno nel 2018. Elezioni con le quali scatterà la vera e propria fase operativa. Affiancato dallo stesso Caiumi, dal presidente degli industriali ferraresi Riccardo Maiarelli, da un consiglio di presidenza costituito da 21 imprenditori e da un consiglio generale composto da 134 membri, Vacchi avrà il compito di traghettare la neonata associazione verso la funzionalità parando i contraccolpi della crisi economica ma anche quelli generati dal ridimensionamento del peso politico della stessa Confindustria a livello nazionale. I numeri con cui inizia il percorso che la porterà in piena attività sono tali da lanciarla nel Paese come seconda in Italia per dimensioni dopo Assolombarda, prima per forza del sistema manifatturiero. Parte infatti da una base di 3.200 imprese associate, l’85% delle quali sotto i 250 dipendenti, per un totale di 171 mila lavoratori. Ma soprattutto parte innestandosi su un territorio che vanta grandi brand e grandi aziende note in tutto il mondo, come le case automobilistiche e motoristiche della motor valley – da Ferrari, a Maserati a Pagani, nel Modenese, per arrivare a Lamborghini e Ducati nel Bolognese – e come i grandi gruppi che hanno disegnato i contorni della packaging valley, dove svettano big come Ima, dello stesso Alberto Vacchi, o la holding Coesia di Isabella Seragnoli. L’area Emilia che dovrà rappresentare è anche una delle locomotive dell’Italia, tra i principali distretti industriali europei, un gigante che vale 27 miliardi di export, vale a dire il 48% del totale regionale e il 6,5% di quello nazionale. La scommessa, con l’elezione del presidente, si giocherà interamente sulla capacità di dare voce agli associati con una nuova qualità dei servizi che non richieda il sacrificio di scardinare gli attuali assetti territoriali. Del resto Vacchi ha fin dall’inizio ripetuto che gli organici delle tre associazioni sono già abbastanza asciutti: non ci saranno tagli al personale, o almeno non nell’immediato. Semmai si farà leva sul turn over per razionalizzare le risorse umane a disposizione per sostenere le imprese del territorio soprattutto nell’internazionalizzazione, una delle chiavi del successo del sistema manifatturiero delle tre province, attraverso una riorganizzazione che veniva da tempo ritenuta non solo necessaria ma anche ineluttabile. Le stesse considerazioni fatte dalle due territoriali della Romagna – Rimini e Ravenna, mentre Forlì-Cesena si è sfilata all’ultimo momento e per ora resta autonoma– che hanno ricalcato le orme di Bologna, Ferrara e Modena dando vita a Confindustria Romagna. Una realtà che ha numeri più piccoli – circa 1500 aziende associate per un totale di quasi 71mila dipendenti – ma che ambisce ad aumentare la propria forza e il proprio peso politico. Entrambe le aggregazioni, alle quali potrebbe aggiungersi presto una Confindustria Medio Padana frutto delle nozze tra le territoriali di Reggio Emilia, Parma e Piacenza, è il risultato della volontà di far evolvere il sistema confindustriale per alzare il livello di qualità dei servizi offerti alle imprese.  «Da presidente di Confindustria – dice Luca Cordero di Montezemolo – ho spinto molto per queste aggregazioni: da questa regione ancora una volta sono venuti i fatti».

Natascia Ronchetti