La rivoluzione di Industria 4.0 arriva fabbrica per fabbrica

 

Confindustria e Regione lanciano un piano di formazione a tappeto: in un anno saranno interessate oltre 700 imprese. Ma in Emilia Romagna sono già decine le aziende che hanno introdotto la nuova tecnologia; e alcune ne hanno fatto un business

di Natascia Ronchetti

 

Se ne parlò per la prima volta in Germania nel 2011, quando un gruppo di lavoro guidato da importanti multinazionali tedesche si mise al lavoro per presentare al Governo federale un piano per l’implementazione della quarta rivoluzione industriale. A distanza di oltre cinque anni la fabbrica 4.0 per una completa digitalizzazione dei processi produttivi, dell’organizzazione aziendale, degli approcci alla clientela e dell’accesso ai mercati ha fatto passi da gigante anche in Emilia Romagna; resta tuttavia una grande scommessa sulla quale non tutto il sistema manifatturiero ha già investito le risorse migliori. L’industria “intelligente”, completamente automatizzata, è la nuova frontiera della produzione. Per svilupparla il Governo italiano, nel 2017, punta a mobilitare quasi 24 miliardi di investimenti privati facendo leva su un mix di incentivi fiscali, formazione, sostegno al venture capital, diffusione della banda ultralarga. Ma la nuova fabbrica digitalizzata, vera novità di una rivoluzione che entusiasma e spaventa, richiede una riorganizzazione complessiva che anche in Emilia Romagna sta tracciando spartiacque. Certo, grandi big della meccanica come la modenese System, la reggiana Comer, l’imolese Sacmi, il gruppo Coesia o Ima Group di Bologna, colossi della packaging valley emiliano romagnola, si sono già collocati nel futuro di una completa digitalizzazione. E lo stesso hanno fatto o stanno facendo tante altre aziende emiliane e romagnole che hanno intuito per tempo la portata dell’industria 4.0 per la competizione sul mercato globale. Ma a fare la differenza, questa volta, non sono le dimensioni dell’impresa o il suo profilo internazionale, la sua capacità di investire su una forte presenza sui mercati esteri facendo tesoro della forte e storica vocazione all’export del sistema produttivo regionale. A tracciare una linea di confine, come ha dimostrato recentemente anche uno studio di Confindustria, è prima di tutto un deciso investimento sul capitale umano attraverso una formazione capace di accogliere tutte le sfide imposte da una automazione che non è semplicemente la stampa 3D ma si declina in big data, open data, internet of things, machine to machine, cloud computing, robotica. Rivoluzione dolce, ma pur sempre rivoluzione, della quale non hanno ancora compreso la portata un quinto delle aziende, con il risultato che oggi navigano a vista nel tentativo di archiviare la recessione e di imboccare, dopo otto lunghi anni, la strada della ripresa. A sua volta un altro quinto, all’opposto, ha già avviato i processi di riorganizzazione produttiva, riuscendo ad aumentare i ricavi e a consolidare la propria forza competitiva. Nel mezzo, tra i due opposti, ci sono tutte le imprese che comprendono la necessità di agganciare le nuove opportunità offerte dalla tecnologia e che iniziano cavalcare l’onda, ma non senza difficoltà. Uno scenario nel quale anche in Emilia Romagna come nel resto del Paese non sono i grandi fatturati a fare la differenza ma la propensione all’innovazione continua, un orientamento all’applicazione delle più avanzate innovazioni che richiede una virata nella politica di formazione professionale. Non è un caso se l’associazione degli industriali dell’Emilia Romagna insieme alla Regione ha varato per prima in Italia  un piano del valore di quasi 3,5 milioni di euro e della durata di 18 mesi per una attività di aggiornamento di quasi 23mila ore che coinvolgerà 700 imprese e tremila persone, tra imprenditori, manager e figure chiave delle aziende. Gli industriali sanno che il principale ostacolo è il salto culturale richiesto dal nuovo approccio alla produzione manifatturiera. Un salto di qualità che coinvolge tutte le filiere e le imprese, indipendentemente dalle dimensioni delle singole aziende. Ne sono consapevoli, secondo lo studio di Confindustria, anche la gran parte degli imprenditori, quell’80% di industriali che sanno di dover operare una svolta e chiedono politiche di accompagnamento per far proprie nel modo più evoluto le tecnologie digitali. Al centro di tutto ci sono le persone, il vero motore della quarta rivoluzione industriale. Per questo la Regione ha investito 10 milioni di euro di risorse europee per riposizionare il sistema produttivo regionale. Ma accanto alle iniziative pubbliche e associative, anche il privato comincia a muoversi, vedendo nella sfida di industria 4.0 un’ottima opportunità di business. A Casalecchio di Reno, per esempio, la Solair fondata dall’informatico inglese Tom Davis, unica azienda italiana rilevata dal colosso mondiale Microsoft, sviluppa sistemi avanzati di internet of things che consentono alle aziende di monitorare il funzionamento dei propri prodotti una volta venduti in tutto il mondo. E l’ex numero uno di Sacmi, ora amministratore di Marchesini Group, Pietro Cassani, ha fondato a Imola Ideas 4.0, un super team interdisciplinare di ingegneri che offre consulenza alle aziende per l’introduzione dei principi e delle tecnologie di industria 4.0. La vera sfida si gioca infatti  sull’alto valore aggiunto di una industria capace di coniugare le avanguardie dell’innovazione con l’autenticità del pezzo unico.

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