Bper, Carife, Bcc e Casse romagnole. Una regione nell’occhio del ciclone banche

Il risiko innescato dagli ultimi decreti del governo e dalla crisi dei crediti deteriorati ripropone il nodo delle aggregazioni. Ma questa volta serviranno a salvare i troppi istituti pericolanti

di Nicola Tedeschini

 

Lunedì 14 dicembre 2015, Mario Draghi parlò a Bologna, alla festa per i 40 anni di Prometeia. L’intervento non mancò di un omaggio alla memoria di Nino Andreatta, di cui “è naturale sentire la mancanza” disse Draghi,”mentre si cerca di sventare in Italia il rischio di una crisi bancaria”.  L’euro-governatore, in sostanza, confermò l’entrata in uno stato d’emergenza deflagrato da nemmeno un mese, da quando, con un decreto domenicale, il governo Renzi aveva accelerato il salvataggio di quattro istituti dell’Italia centrale. Segnale d’allarme, la fine di un’ epoca: di fatto il decreto aprì le danze di un risiko bancario da troppo tempo atteso e che ora vive un climax al contrario inatteso, con l’epica battaglia Intesa-Mediobanca- Generali, l’aumento di capitale Unicredit, il salvataggio pubblico di Mps. Alla fine, entro l’estate tre dei quattro istituti (le nuove good bank Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti), con 546 filiali e 5mila dipendenti, finiranno per un solo euro in pancia a Ubi Banca, che già di suo vanta oltre 1.500 sportelli e quasi 18mila addetti. È stata anche, Ubi, la prima popolare a convertirsi in spa pura, in ottemperanza al decreto Renzi-Padoan del gennaio 2015. Quel decreto, oggi finito sub indice per i rilievi di incostituzionalità avanzati dal Consiglio di Stato, ha rappresentato la seconda condizione per la partenza del risiko, la terza essendo la nascita del Fondo Atlante nell’aprile 2016. Ma, contemporaneamente, il decreto ha scoperchiato il vaso di Pandora delle popolari nordestine non quotate, PopVicenza e Veneto Banca, e delle azioni trattate dalle stesse banche a prezzi folli. Dopo il salvataggio gemello operato da Atlante per 2,5 miliardi, le offerte di ristoro da poco varate a favore dei soci sono fondamentali perché i due istituti, affidati alle cure di Fabrizio Viola, prima si fondano tra loro e poi rientrino nel risiko. Il loro principe azzurro, tuttavia, non sarà Bper Banca: l’amministratore delegato, Alessandro Vandelli, secondo successore proprio di Viola, lo ha nuovamente escluso giusto il 28 gennaio, a margine dell’Assiom Forex tenutosi tra le mura amiche, a Modena. Per i prudenti emiliani va avanti il flirt con il Credito Valtellinese, che per combinare un buon matrimonio si è appena affidato a Mediobanca ed Equita. Secondo gli analisti che hanno alzato i target price dei titoli Bper fino a 6 euro per azione, il matrimonio in Valtellina genererebbe sinergie per un miliardo. Parallelamente, Unipol continua la ricerca di un partner stabile a cui conferire il proprio ramo creditizio, creando anche così un superpolo del bancassurance. Già oggi il gruppo finanziario controllato da Finsoe, holding delle coop emiliane, è primo azionista di Bper, appena sopra la soglia del 5% di temporanea sterilizzazione dei diritti di voto. In ogni caso, Bper ha ora in animo una leggera deviazione dall’asse retto della Via Emilia, giusto a un passo dal Veneto, per accalappiare la quarta good bank, CariFerrara, con un’ operazione simile a quella di Ubi: aumento preventivo del Fondo di risoluzione di BankItalia, 500 milioni di npl in pancia ad Atlante e sfoltimento, con un esodo incentivato ormai già in archivio, di 340 dipendenti estensi su 800 complessivi. Unendo tutto ai propri 11.400 lavoratori, ai propri 63 miliardi di attivo e a una raccolta diretta globale di oltre 45 miliardi, Bper aumenterà gli attivi del 5% e gli sportelli del 7%, blindando la sua leadership di mercato in una regione dove il pluralismo resta nondimeno vivace. Se Carimonte e la Fondazione Manodori meditano sul maxi-aumento della partecipata Unicredit, e la fondazione Carisbo deve comunque smobilizzare parte del suo investimento esclusivo in Banca Intesa Sanpaolo, la Fondazione CariParma è stretta in un patto di ferro con Crédit Agricole per il controllo sulla banca ducale. I francesi erano stati indicati dalla stampa come il possibile cavaliere bianco delle casse di risparmio romagnole, Cesena e Rimini, finite alle corde per stati patrimoniali ancora troppo gravati di crediti deteriorati, i famosi npl. A Cesena la maxi-perdita da 280 milioni del 2015 e la  conseguente ricapitalizzazione hanno già consegnato la maggioranza allo Schema volontario del Fondo di tutela dei depositi, altro strumento para-dirigistico con cui le autorità creditizie cercano di tamponare una crisi mai vista dal 1929 in poi. Un’operazione simile dovrebbe salvare anche Carim, che ha bisogno di 150 milioni di capitali freschi per restare in carreggiata e intanto ha già concordato con i sindacati un piano di tagli al personale per 90 unità. Se anche questa seonda operazione andrà in porto, non è escluso che per entrambe le casse romagnole si riaffacci una sistemazione definitiva sotto l’ala di CariParma. Come extrema ratio, proprio sotto Natale il governo Gentiloni ha estratto dal cilindro il mega-fondo statale da 20 miliardi, pensato soprattutto per prendere il controllo di un MontePaschi Siena ripudiato dai capitali di tutto il mondo. A lungo, si è pensato che il cavaliere bianco del Palio potesse essere proprio Ubi, ma solo se coniugata con la Bpm. La bella milanese, non senza una perdurante catena di strascichi giudiziari, ha invece preso marito nel Banco Popolare, un brand affermato lungo la Via Emilia grazie al legato del vecchio San Geminiano e San Prospero di Modena. Con il primo gennaio, è nato dunque un colosso da 180 miliardi d’attivo, circa 2.500 sportelli e 25mila lavoratori. Ma, a livello di immagine più che nei numeri, la vera sfida al primato regionale di Bper potrebbe venire da altri lidi, ossia dal sistema del credito cooperativo. Il mondo delle Bcc ha vissuto un proprio risiko parallelo a partire dal febbraio 2016, quando un secondo decreto Renzi-Padoan ha consacrato l’autoriforma varata da Federcasse. Il decreto obbligava tutte le Bcc d’Italia a federarsi in macro-gruppi di dimensione nazionale, o, come alternativa concessa solo alle banche con mezzi propri oltre i 200 milioni, a trasformarsi in spa, previo pagamento di una supertassa pari al 20% delle riserve. Ebbene: il primo superpolo da almeno 200 Bcc è nato attorno a Iccrea Banca, istituto del sistema Federcasse che già possiede il requisito normativo del patrimonio superiore al miliardo di euro. Un istituto dal forte accento bolognese, essendo guidato da Giulio Magagni, che al contempo sta traghettando Emil Banca, di cui è presidente, verso il salvataggio dei cugini reggiani del Banco Cooperativo Emiliano, dando vita alla seconda Bcc italiana dopo quella di Roma. Non è invece riuscito, Magagni, a convogliare verso il progetto Iccrea le banche cooperative trentine, che quindi creeranno un secondo supergruppo attorno a Cassa Centrale Banca. Il polo alternativo, forte di almeno un centinaio di aderenti, avrà una forte presenza sotto le Due Torri, vista l’entusiastica partecipazione di Banca di Bologna. Quest’ ultima, da sempre esterna al mondo Federcasse, è oggi presieduta da Marco Vacchi, presidente onorario di Ima, ed è guidata dal dg Enzo Mengoli. Non è detto poi che al secondo polo delle Bcc non possano aderire altri tre o quattro istituti della regione.

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