Continua il cavario dei Confidi e le fusioni non sono il toccasana

Nuove crisi in Piemonte e Adriatico Meridionale: le aggregazioni c’erano state, ma da sole non sono bastate a  creare redditività e contenere le sofferenze. Serve un rafforzamento dei servizi e una gestione più professionale

Bologna, 30 ottobre 2017

La schiarita sul fronte banche e la ripresa dell’economia reale non hanno ancora prodotto i risultati attesi sul sistema dei Consorzi fidi. Un anno dopo il fallimento di Eurofidi, il più grande consorzio italiano di garanzia, il Piemonte è nuovamente alle prese con un clamoroso caso di default. E qualcosa del genere potrebbe accedere anche nel Centrosud, dove l’estate è trascorsa senza una soluzione per la crisi del consorzio di garanzia abruzzese-pugliese Confidi Adriatico. L’analisi annuale di Crif Rating sullo stato di salute dei Confidi italiani, del resto, ribadisce le stesse criticità segnalate l’anno precedent:  scarsa redditività, alto tasso di insolvenza, mancata copertura di secondo livello, a posteriori, da parte del fondo nazionale di garanzia.

Ma procediamo con ordine. Il nuovo default in Piemonte riguarda Unionfidi Piemonte che con i suoi 335 milioni di euro di garanzie rilasciate rappresentava uno dei principali player regionali. “Come per Eurofidi, la scarsa redditività, l’inefficacia dei sistemi interni di monitoraggio del credito oltre che la revoca della controgaranzia pubblica sono le motivazioni principali sottostanti alla crisi”, afferma Carmen Acerra, Rating Specialist di CRIF Ratings.

Dalla visita ispettiva condotta da Banca d’Italia nei primi mesi del 2017, è scaturita l’iscrizione in bilancio di significative rettifiche di valore sulle garanzie rilasciate in considerazione di una situazione di “notevole sofferenza ascrivibile a perdite su crediti inesigibili”. Unionfidi si è trovato costretto a maggiori accantonamenti a fondo rischi per 13 milioni di euro, di cui circa 2 determinati dall’inefficacia della controgaranzia rilasciata da MedioCredito Centrale (‘MCC’), gestore del Fondo cenrtale di garanzia. L’impatto è stato una perdita di esercizio di 15 milioni, la drastica contrazione del patrimonio di vigilanza a garanzia degli impegni assunti e il deterioramento del TIER1 allo 0,5% di fronte alla soglia minima del 4,5% prevista dalla normativa. Inevitabile è stata la messa in liquidazione, con un deficit patrimoniale stimato in 19 milioni.

Dal punto di vista reddituale, la perdita d’esercizio del 2016 è ascrivibile anche alla svalutazione della partecipazione di minoranza in Veneto Banca per 1,7 milioni di euro. Il default di Unionfidi Piemonte, sottolinea Crif, presenta altri tratti in comune con il caso Eurofidi, una circostanza che suggerisce un’attenzione costante su un possibile effetto contagio. La ricerca di dimensioni operative maggiori sotto la spinta della nuova normativa, sostiene Crif, è uno stimolo all’efficienza che tuttavia, se non adeguatamente gestito e finanziariamente supportato, può accelerare l’emergere di crisi irreversibili. La multi-settorialità e l’allargamento dell’operatività oltre i confini regionali necessitano di strutture operative adeguate e un altrettanto adeguato presidio del territorio di riferimento e del rischio assunto. Questo, tuttavia, implica investimenti che, con ricavi e aiuti pubblici sempre minori, diventano a volte insostenibili. Dall’altra parte, c’è l’inefficacia della controgaranzia. In linea teorica i controlli ex-ante realizzati da MedioCredito Centrale dovrebbero favorire la presentazione di pratiche conformi ai requisiti di ammissibilità alla controgaranzia del FCG. Tuttavia le verifiche ex-ante coinvolgono una quota marginale (circa il 5%) del totale delle pratiche presentate e accolte, mentre la gran parte dei vizi di sostanza e di forma emerge solo ex-post a seguito delle escussioni, una circostanza che provoca la revoca della controgaranzia inizialmente rilasciata e conseguentemente gravosi accantonamenti a fondi rischi e assorbimenti di capitale. Per lo stesso motivo banche e clienti sono spinti ad accedere direttamente al Fondo Centrale di Garanzia bypassando i Confidi.

Sarebbe a rischio liquidazione anche Confidi Adriatico, nato l’anno scorso dalla fusione tra Confidi Mutualcredito di Pescara e Fidindustria Puglia Consorzio Fidi, di Bari. La richiesta inoltrata alla Banca d’Italia per l’iscrizione nell’Albo dei confidi vigilati (ex art. 106 TUB) è stata respinta dopo che la società di revisione Kpmg si è dichiarata “impossibilitata” a controfirmare il bilancio 2016. Il presidente Andrea Leone, ha rassegnato le dimissioni, a dicembre si era dimesso il vicepresidente ed ex presidente, Giorgio Di Rocco. Ora si starebbe valutando se mettere in liquidazione la società oppure ridimensionarla a Confidi non vigilato. Un’opzione B potrebbe essere una nuova fusione con un Confidi di dimensioni maggiori. Quella delle fusioni è la strada percorsa in questi anni e appoggiata anche da Federconfidi, l’associazione confindustriale del comparto. Così è avvenuto in Emilia-Romagna, dove nel 2016 c’è stata la fusione per incorporazione di Fidindustria nella Unifidi di Cna e Confartigianato. In Lombardia è stata creata nel 2015 Confidi Systema!, dalla fusione per incorporazione in Artigianfidi Lombardia di Confidi Lombardia, Federfidi Lombarda, Cofal (Consorzio fidi agricoltori lombardi) e Confidi Province Lombarde. Dinamiche simili si sono avute in Trentino, in Friuli e nelle Marche. Ultimo della lista è stato l’accordo in Campania tra la Gafi e la Confidi Regione Campania. In genere queste aggregazioni sono state accompagnate da contributi regionali anche cospicui. Un fondo da 225 milioni per la concessione di nuove garanzie alle imprese associate ai consorzi fidi è stato messo a disposizione anche meno di un mese fa dal ministero dello Sviluppo.
Possono richiedere il contributo i confidi iscritti all’albo degli intermediari finanziari; i confidi coinvolti in operazioni di fusione per la nascita di un unico soggetto che abbia i requisiti per l’iscrizione nell’albo degli intermediari finanziari; i confidi che abbiano stipulato contratti di rete finalizzati al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia operativa dei confidi aderenti e che abbiano erogato, nel loro complesso, garanzie in misura pari ad almeno 150 milioni di euro.
Lo stanziamento iniziale può essere incrementato da eventuali risorse messe a disposizione da Regioni, Enti pubblici e Camere di commercio.

Massimo Degli Esposti