La Food Valley scopre l’export con i suoi 44 gioielli alimentari
In Emilia-Romagna il record mondiale di prodotti Dop e Igp: valgono2,5 miliardi e sono sempre più apprezzati all’estero. Volano le vendite verso Stati Uniti e Paesi Ue e con le certificazioni «kosher» e «halal» si aprono nuovi mercati in Medio Oriente
E’ il cuore della grande tradizione manifatturiera dell’agroalimentare italiano. Non solo per la presenza di alcuni colossi industriali del settore come Barilla. Ma anche per un primato con il quale si ritaglia un ruolo di primo piano non solo in Italia ma anche in Europa. La food valley emiliano romagnola – macro distretto che dalla Romagna arriva a Piacenza, con grandi aziende che dominano il mercato, brand conosciuti a livello internazionale e una filiera di migliaia di piccole e medie imprese – ha il più alto numero di eccellenze alimentari del vecchio continente, un record di 44 prodotti Dop e Igp che da soli valgono 2,5 miliardi di euro di produzione. E’ qui, in questa terra storicamente legata al cibo, che big e piccoli imprenditori sono diventati i principali protagonisti dell’industria alimentare made in Italy. Una questione di storia e di radicamento di antiche tradizioni legate alla cultura alimentare capaci di generare grandi numeri e di fare del food uno dei primi settori economici della regione, con prestigiosi marchi universalmente riconosciuti come il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma, Cirio, Valfrutta, Yoga, Parmalat, Granarolo. Ma anche una questione di innovazione, con investimenti continui nella sostenibilità della produzione e nell’adeguamento dei processi produttivi alle continue sfide imposte dalla globalizzazione. Cosa che spiega da un lato il ruolo di traino dell’Emilia-Romagna per l’industria alimentare dell’intero Paese, dall’altro la forte vocazione alle esportazioni della food valley emiliana, che insieme alla meccanica è uno dei fiori all’occhiello della manifattura regionale. Il motore dell’industria del food regionale si riconferma Parma, con una rete capillare di quasi 1.200 aziende, che salgono a circa 1.800 se si prendono in considerazione anche quelle dell’impiantistica alimentare. Un distretto che rappresenta una delle principali fonti di occupazione dell’area, con quasi 14.500 addetti, e che da solo genera un volume d’affari di 7,8 miliardi, dei quali oltre 1,5 sviluppati dalle esportazioni destinate principalmente all’Europa Occidentale – Francia, Germania, Gran Bretagna in testa – e agli Stati Uniti, ma sempre più proiettate anche verso i mercati arabi e quelli asiatici. E’ nel Parmense che hanno sede giganti dell’industria come Barilla e Parmalat. Ma anche consorzi come quello del Parmigiano Reggiano e del Prosciutto di Parma, prodotti tutelati e noti in tutto il mondo. Il solo consorzio del Parmigiano Reggiano svetta con 339 aziende associate per circa tremila allevamenti e con un valore alla produzione di oltre 1,1 miliardi e al consumo di più di 2. Per i produttori del re dei formaggi stagionati le esportazioni rappresentano già una quota del 37% sul totale della produzione. Percentuale destinata a salire con l’ingresso in grande stile nei Paesi arabi, dopo la certificazione Halal _ “bollino” che garantisce una produzione adeguata a rispondere anche alle esigenze alimentari degli osservanti islamici _ ottenuto da alcune aziende. Un investimento che segue quello già fatto sul Parmigiano Reggiano kosher, destinato ai consumatori di fede ebraica per aprire agli associati nuovi sbocchi commerciali anche in Israele. A sua volta il Consorzio del Prosciutto con la corona può contare su una organizzazione di 150 aziende tutte situate nella zona tipica di produzione, forti di un marchio registrato in 90 Paesi del mondo. Con una produzione media di 8,4 milioni di pezzi all’anno, 4mila allevamenti suinicoli, il Prosciutto di Parma genera un valore alla produzione di 740 milioni ed esportazioni pari al 32% del totale: oltreconfine gli Stati Uniti sono il primo mercato di destinazione dopo i Paesi Ue, con Germania, Francia, Regno Unito e Benelux in prima fila. Da Parma, regina incontrastata della food valley emiliana, si passa a Bologna dove ha sede un altro storico consorzio, quello della Mortadella Igp, altra eccellenza alimentare emiliana che continua a crescere sui mercati esteri. Con un fatturato complessivo di 650 milioni di euro, presidia già sbocchi europei come quelli della Francia, della Germania, della Svizzera e si muove verso gli Stati Uniti ma anche verso mercati più lontani come quello australiano. Sempre nella provincia di Bologna si trova un altro gigante del food, Conserve Italia, che ha chiuso il 2016 con ricavi per più di 900 milioni di euro, per il 40% ottenuti con le esportazioni. Con dodici stabilimenti produttivi, dei quali tre all’estero (tra Francia e Spagna), produce grandi marchi come Valfrutta e Cirio.
Natascia Ronchetti